“La sfera magica – Capitolo cinque” di Elena Ungini – Aspettando il Natale…

Tempo stimato di lettura: 5 minuti

Bentrovati su Le fiamme di Pompei per il quinto capitolo del racconto lungo di Elena Ungini “La sfera magica”.
Se avete perso i primi quattro appuntamenti potete trovarli qui:

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Buona lettura!

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LA SFERA MAGICA

CAPITOLO CINQUE

“Finalmente siamo fuori!”, esclamò Cronch, mentre uscivano dal folto della vegetazione. “Ora saremo al sicuro”.

Un oggetto sferico e bianco atterrò improvvisamente sull’ombrello, con un grande tonfo.

“Che succede?” 

Un’altra sfera bianca colpì una delle renne, che si scrollò, un po’ stordita.

Subito dopo, una serie di palle di neve volanti si mise a colpire la slitta e i suoi occupanti. Daniel e Greta si ripararono la testa con le braccia, cercando di evitare i colpi violenti inflitti dalle palle di neve pressata.

“Sai, Cronch? Comincio a pensare che meni gramo: ogni volta che dici che siamo al sicuro succede qualcosa!”

“Siamo nella terra della Strega. Grisha ha messo delle trappole per evitare agli estranei di entrare nel suo territorio”, spiegò Cronch, costruendo intorno a loro la solita barriera, che questa volta comprendeva anche le renne.

Questo permise loro di proseguire ugualmente. Continuarono per più di un’ora sotto il tiro incrociato delle palle di neve, che si formavano da sole per magia.

“Cronch, stai bene?”, chiese Greta, notando che il gatto era di un colore verdino pallido, molto più smunto del normale.

“Non troppo. La mia energia si sta esaurendo: non potrò tenere accesa la barriera ancora per molto”.

Daniel ordinò alle renne di andare un po’ più veloci. Per fortuna, alcuni minuti dopo le palle di neve smisero di colpirli e Cronch poté abbassare la barriera e riposarsi un po’.

“Credevo che non ce l’avrei fatta più”.

“Bravo micione. Mangia qualcosa, ora. Devi riprendere le forze”, lo incoraggiò Greta, donandogli un pezzo di carne secca e accarezzandogli la testa.

“Sono troppo stanco per fare le fusa. Ti fa niente?”, chiese lui,  abbandonandosi contro il sedile.

“Figurati…”, rise Greta, senza smettere di accarezzarlo.

“Se tu non stai facendo le fusa, mi dici allora che rumore è questo?”, chiese Daniel, tendendo l’orecchio per ascoltare uno strano e sommesso brontolio.

“Non lo so, ma non mi piace”.

“Guardate là!”, urlò Daniel: dalla montagna di fronte una grossa slavina si stava staccando per precipitare a valle, dritta verso di loro.

“OhOh, belle! Dovete addirittura volare!”, urlò il ragazzo, rivolto alle renne, che presero a correre a più non posso. Altre slavine, a destra e a manca, iniziarono a scivolare lungo le pareti della montagna. Le renne correvano sempre di più, riuscendo a evitarle per un soffio. Corsero per diverse miglia senza mai fermarsi, mentre le valanghe scendevano lungo i fianchi della montagna, evitandoli per pura fortuna. Poi, finalmente, raggiunsero la fine della vallata.

“C’è una grotta, la in fondo! Là saremo al sicuro!”, urlò Cronch, additando la caverna.

“Non lo dire, Cronch: dubito che saremo veramente al sicuro”.

Daniel rallentò le renne e raggiunsero l’entrata della caverna. All’interno era buio pesto e le lampade ai lati della slitta si accesero per rischiarare loro la via. 

“Sembra tutto tranquillo”, sussurrò Greta, quasi trattenendo il fiato, ma non aveva ancora finito di parlare che un sibilo sinistro, seguito da un forte tonfo, li fece sobbalzare: una grossa candela di ghiaccio si era staccata dal soffitto della caverna, e ora giaceva infilzata nello zaino di Daniel. Altri grossi candelotti si staccarono, iniziando a piombare su di loro. Cronch fu costretto a rialzare la barriera.

“Non so quanto durerà”, ammise, sconsolato “sono troppo debole”.

Proseguirono all’interno della caverna, ma a ogni passo delle renne, a ogni cigolio della slitta, altri candelotti di ghiaccio si staccavano dal soffitto, per precipitare su di loro, rimanendo incastrati nella barriera protettiva. Improvvisamente, con un piccolo “plop”, la barriera scomparve, lasciandoli sguarniti.

“Mi dispiace”, sussurrò Cronch, esausto e sconsolato.

“Non importa. Credo di aver capito come funziona: torniamo indietro”, sussurrò Daniel.

“Cosa? Ma sei impazzito?”, domandò il gatto, incredulo.

“Fidatevi di me”, li tranquillizzò lui.

 Ritornarono fuori dalla grotta e qui Daniel espose il suo piano:

“Ho notato che i candelotti cadono quando si produce un rumore. Ce l’abbiamo ancora un razzo, non è vero?”

“Certo, ma che vuoi farne?”

“Ora vedrete”. Daniel prese il razzo e lo accese, poi lo gettò all’interno della grotta. Un attimo dopo si udì un tremendo boato, che riecheggiò per tutta la grotta.

“Ecco fatto: ora tutti i candelotti dovrebbero essere caduti”. 

Era così: quando rientrarono, trovarono il pavimento della caverna coperto da schegge di ghiaccio. Dei pericolosi candelotti, neppure l’ombra. 

“Sbrighiamoci: non mi piace questo posto”, commentò Daniel, parlando più a se stesso che agli altri. 

Avevano percorso ormai un buon tratto quando iniziarono a udire uno strano crepitio che veniva dall’alto: con orrore, si accorsero che le candele di ghiaccio si stavano riformando piuttosto velocemente. Troppo velocemente.

“Forza belle, correte, svelte!”

Le renne, incitate da Daniel, ripresero a correre e in breve raggiunsero una parte della grotta che pareva non essere rivestita da candele di ghiaccio o altre trappole affini.

“Che ci sarà di bello qui?”, chiese Daniel, sarcastico.

“Non ne ho idea, ma teniamo gli occhi bene aperti”, sussurrò Cronch, le cui enormi iridi feline brillavano nel buio alla luce delle lanterne.

“Guardate! C’è una luce là in fondo!”, esclamò Daniel.

Poco dopo giunsero infatti in una zona molto più illuminata: sebbene si trovassero ancora nella caverna, c’erano grandi finestre aperte sull’esterno che illuminavano quasi a giorno l’ambiente.

“Che c’è sulle pareti?”, chiese Greta.

“Sembrerebbero quadri”. Daniel scese dalla slitta e prese a camminare davanti alla parete, osservandola: numerosi dipinti erano appesi qua e là, lungo il tragitto.

“Ci sono ritratti di bambini. Anche di ragazzi”.

“Qui c’è una donna”.

“Qui invece, ancora dei bambini”.

“Chi sarà tutta questa gente?”

“Non ne ho idea”, rispose sinceramente Cronch.

“Non so neppure dove siamo”, continuò poi.

“Speriamo di non aver sbagliato di nuovo strada”, commentò Greta, preoccupata.

Daniel si fermò di fronte al penultimo quadro: raffigurava due bambini, un maschio e una femmina. Li fissò a lungo, perplesso.

“Che c’è?”, domandò Greta.

“Non lo so… hanno qualcosa di familiare, tutti e due!”

“Lui ti somiglia”, affermò sicura la bambina, scrutando il faccino tondo con gli occhi azzurri raffigurato nel quadro.

“Già…”, ammise lui “ma la bambina… i suoi occhi… li ho già visti”.

“Sei un buon osservatore, Daniel”. La voce che aveva parlato li fece trasalire, poiché non apparteneva a nessuno di loro tre. Si voltarono di scatto. Davanti a loro stava un’anziana signora vestita stranamente che li guardava con grandi occhi vacui, che forse un tempo erano stati azzurri. La donna fissò Daniel con una strana espressione, quasi volesse intimorirlo.

“Tu sei Grisha, vero?”

“Già. E tu sei Daniel, il nuovo custode dei ricordi, e sei qui per sapere che fine fanno i ricordi che spariscono. Cosa ti fa credere che te lo dirò?”, chiese lei, a bruciapelo, fissandolo con uno sguardo torvo.

“Perché non dovresti dirmelo?”, rispose a tono Daniel, mettendosi subito sulla difensiva.

“Chi sei tu per venire qua a chiedermi di aiutarti?”

“Lo hai detto tu stessa. Sono il custode dei ricordi”.

“Per me conti meno di niente. Li vedi tutti questi quadri? Sono tutti custodi di ricordi, da ogni parte del mondo. Altri mocciosi come te che non si fanno mai gli affari loro. Ci sei anche tu, vedi? Con quella seccatrice della tua amichetta”.

Mostrò a Daniel l’ultimo quadro: c’era veramente la sua immagine, accanto a quella di Greta.

“Chi sono questi altri?”, chiese Daniel, additando il quadro precedente, quello con il bambino che gli somigliava.

“Scoprilo da solo”, rispose lei, facendo per andarsene.

Ma Daniel non era disposto a mollare.

“Se non ci aiuterai non ci sarà scampo per la Terra!”, urlò, scaldandosi.

“Meglio così. È soltanto una gabbia di matti”.

“E tu sei una di loro, vero?”, sputò fuori Daniel.

“Che stai dicendo?” 

La sua voce suonava sorpresa.

“Che sei una terrestre, come me e Greta”.

Per un lungo istante la donna non rispose. Poi gli domandò:

“Come hai fatto a capirlo?”

“Solo una terrestre può essere tanto crudele da non volerci aiutare”.

Daniel era chiaramente arrabbiato, ma deciso più che mai a non andarsene senza aver risolto la questione.

“D’accordo, allora. Ti metto alla prova, ragazzino. Se riuscirai a battermi, ti darò la possibilità di farmi una domanda. Una sola”, sibilò lei, inviperita.

“Non mi sembra molto leale!”, esclamò Daniel.

“Prendere o lasciare. Se vuoi, te ne puoi andare anche subito”.

Daniel valutò i pro e i contro: dopotutto non aveva nulla da perderci. Conveniva tentare.

Elena Ungini

Le fiamme di Pompei

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