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Tempo stimato di lettura: 7 minutiBentrovati su Le fiamme di Pompei per il quarto capitolo del racconto lungo di Elena Ungini “La sfera magica”.
Se avete perso i primi tre appuntamenti potete trovarli qui:
Buona lettura!
LA SFERA MAGICA
CAPITOLO 4
Daniel incitò le renne a correre più veloci. Gli animali quasi non toccavano il terreno, sembravano persino volare.
Ben presto, raggiunsero una zona molto buia della foresta, dove Daniel fu costretto a farle rallentare: era troppo pericoloso correre alla cieca fra gli alberi. Era ormai pomeriggio e la notte sarebbe scesa presto.
“Credete che dovremo dormire qui?”, chiese Greta, preoccupata.
“No. Non ci fermeremo finché non saremo fuori dalla foresta”, rispose semplicemente Cronch.
“Se volete dormire, fate pure: io guiderò la slitta”.
Aveva appena finito di parlare, quando qualcosa di enorme e bianco si parò davanti a loro. Cronch frenò di colpo la slitta, ma le renne si stavano già fermando da sole, accortesi del pericolo.
Un urlo feroce uscì dalla bocca dell’animale che avevano davanti: un gigantesco orso bianco che li scrutava con occhi malefici, zanne spaventose che sbavavano e zampe pronte a colpirli.
“”Cronch! Aiutaci”, sussurrò Daniel con un filo di voce, terrorizzato.
“Ce l’hai un pettine?”
“Cosa? Un pettine? Ti sembra questo il momento di pettinarti?”, esclamò poi, ritrovando un poco di animo.
L’orso continuava a fissarli, quasi in attesa di qualcosa. Un grosso ciuffo di peli bianchi gli si parò dinanzi agli occhi e l’orso lo spinse via, furioso.
“Si tratta di un orso spettinato della palude bianca”, spiegò Cronch.
“Ora posso avere quel pettine?”, continuò.
Perplessa, Greta prese dal suo zaino la spazzola che usava ogni mattina per pettinarsi e la porse a Cronch.
“Può andare questa?”
“È perfetta”. Il gatto non la prese:
“Gli orsi sono allergici ai gatti, dovrai farlo tu, Daniel”.
“Fare cosa?”
“Pettinarlo, mi sembra ovvio: sta aspettando solo quello!”
“Pettinarlo?”
Daniel lo fissava incredulo.
“Stai scherzando vero?”, chiese poi.
“No. Niente affatto. Vai da lui e pettinalo, ma ricordati, la pettinatura deve piacergli, o diventerà furioso e non c’è niente di peggio che un orso spettinato infuriato”.
Daniel prese la spazzola, incerto, poi si avviò verso l’orso, che si mise docilmente a quattro zampe, per essere più all’altezza di Daniel. Questo tranquillizzò un poco il bambino, ma solo un poco.
Con estrema dolcezza, iniziò a pettinare il grosso orso, che mandava mugolii di piacere, mentre Daniel domava i suoi peli ribelli.
“Ecco fatto”, disse il bambino, dopo un po’.
L’orso si allontanò, dirigendosi verso uno specchio d’acqua.
“Ora possiamo andarcene?”, chiese Daniel.
“Aspetta: ci raggiungerebbe in un battibaleno”.
“Ma non c’è pericolo che gli uccelli ci assalgano?”, chiese Greta.
“Non finché siamo in compagnia dell’orso: gli orsi odiano quel tipo di uccelli, perché beccandogli la testa li spettinano terribilmente, quindi anche gli uccelli si tengono a debita distanza”.
L’orso si specchiò, ma evidentemente quello che vide non gli piacque perché lanciò un versaccio poco rassicurante.
“Ahi! Non gli è piaciuta la tua performance, Daniel”, biascicò Cronch, preoccupato.
“E ora che si fa?”
“Ah, date qua!”, bofonchiò Greta: prese la spazzola e si avvicinò al grosso orso.
“Buono, bello. Ora ci penso io. Preferisci le treccine rasta o una bella chioma fluida?”
L’orso la studiò un po’, perplesso, poi si lasciò pettinare. Quando lei ebbe finito, si rimirò a lungo nella palude: Greta gli aveva spuntato la frangia, e ora ci vedeva meglio. Un largo sorriso si stampò sul suo grosso muso. Poi l’animale mise in bocca la zampa e lanciò un fischio basso e prolungato. Qualche secondo dopo apparvero altri tre orsi: una femmina e due cuccioli.
“Hai fatto un buon lavoro, Greta, ma temo che ora dovrai pettinare anche il resto della famiglia…”, Spiegò Cronch.
La femmina si avvicinò al compagno, fissandolo estasiata: evidentemente la nuova pettinatura le piaceva. Greta si occupò subito di lei, proponendole una delle acconciature più alla moda. Quando l’orsa si specchiò, sorrise, veramente compiaciuta. La piccola femmina fu acconciata con deliziose treccine. Quando fu la volta del cucciolo maschio, invece, Greta, aiutandosi con un po’ di fango, sollevò una “cresta” alla punk. Il cucciolo era felicissimo, ma il padre scuoteva la testa, evidentemente poco convinto.
“Oh, andiamo… è l’ultima moda nei giovani. Vedrai, troverà subito una compagna”, lo rassicurò Greta. Il grosso orso si avvicinò alla bimba e le pose le zampe sulle spalle, in segno di ringraziamento.
“Non c’è di ché”, si schernì la bambina.
“Venite, non perdiamo altro tempo!”, li esortò Cronch, mentre Greta risaliva sulla slitta.
I bambini salutarono l’allegra famigliola di orsi con la mano, gridando loro:
“Arrivederci! La prossima volta vi porteremo del balsamo, e magari anche delle tinte, così potrete colorarvi il pelo”.
“Sai, Greta? Hai un futuro come parrucchiera”, commentò Cronch.
“Be’… perché no?”, rise lei.
La slitta proseguiva seguendo un percorso ben preciso, guidata dal gatto. Faceva freddo, ma la coperta e l’ombrello riparavano i due bambini molto più di quello che avrebbero fatto una coperta e un ombrello normale.
“Okay. Direi che siamo quasi fuori dalla foresta”, annunciò il felino, con sollievo.
Un rumore spaventoso, seguito da un colpo violento proprio di fronte al muso delle renne, le fece fermare di colpo.
“Che succede?”, riuscì a sussurrare Daniel, rialzandosi, dopo essersi ribaltato nella slitta, per la brusca frenata delle renne.
Davanti a loro si stagliava l’enorme radice di un albero.
“Da che parte arriva?”, chiese Greta.
“Non lo so, ma un attimo fa non c’era”, annunciò il gatto, nervoso.
“Impossibile”, commentò Daniel.
Un’altra radice si alzò di fianco a loro e si lasciò cadere con un forte tonfo di fronte alla slitta.
“Sicuro che sia impossibile?”, chiese sarcastico Cronch.
“No, ora ci credo che sia possibile”, sputò fuori Daniel, preoccupato.
Dietro di loro si udì una gran serie di tonfi, come se tutto il bosco li stesse seguendo. Ben presto si trovarono attorniati da tre alberi giganteschi, le cui radici impedivano loro di muoversi.
“Che volete?”, chiese Daniel, terrorizzato da quella vista.
“Che vogliamo? Uccidervi, mi sembra ovvio!”
Daniel, per la prima volta in quel viaggio, sembrò prendere sul serio il fatto che non sarebbe potuto giungere a destinazione.
“Ucc…”, Cronch era piuttosto spaventato: balbettava.
Daniel sostenne lo sguardo, se così si poteva dire, dei tre alberi, senza fiatare e senza mostrare alcun terrore.
“Vi ripeto la domanda. Che cosa volete?”, chiese, cercando di apparire il più possibile sicuro di sé.
“Che cosa vogliamo noi? Siete voi che avete invaso le nostre terre. Dovremmo rivolgere noi a voi questa domanda”, esclamò uno dei tre alberi, ma la sua voce non cambiò d’intonazione, né lasciò trasparire alcuna emozione o preoccupazione.
“Come li uccidiamo, stavolta?”, chiese uno degli alberi.
“L’ultima volta li abbiamo impiccati, sarebbe divertente farlo ancora”, rispose un altro.
“No. Bisogna cambiare: non ho voglia di sentirli urlare”.
“Okay. Potremmo metterli sotto la neve e conservarli fino a primavera”.
“Mi sembra una buona idea”.
“No. Facciamoli fuori subito e non se ne parli più”.
“Ma morirebbero comunque”.
E la conversazione sembrava destinata ad andare avanti per molto tempo. Intanto, Daniel, Greta e Cronch studiavano la contromossa:
“Potremmo usare la sfera”, propose Cronch, sottovoce.
“Se la usassimo, ci ritroveremmo tutti quanti a Brescia, al di fuori dei pericoli, ma ci ritroveremmo anche al punto di partenza, e la nostra missione ha già perso un sacco di tempo”.
“Non abbiamo scelta, Daniel! Ci uccideranno!”, sussurrò Greta.
“D’accordo, allora”.
Daniel si frugò in tasca, cercando la sfera, poi, improvvisamente animato da uno strano pensiero, esclamò:
“Aspettate!”
I tre alberi si fermarono e si voltarono a guardarlo.
“Che cosa vuoi?”, biascicò uno di loro.
“Vi sfido a duello! Se voi vincerete, farete di noi quello che vorrete, se perderete, ci lascerete andare”.
“Duello?”, chiese piano uno degli alberi, forse domandandosi il significato di quella parola.
“Già. Una specie di gioco”, spiegò Daniel, cercando di mostrarsi sicuro.
“Un duello. E cosa ti fa pensare che noi accetteremmo? Perché dovremmo farlo?”, sbeffeggiò il più giovane degli alberi.
“Perché siete alberi. Perché siete antichi e rispettate i patti”, azzardò Daniel, sperando ardentemente che fosse vero e facendo leva sul loro orgoglio.
“Non dire sciocchezze!”, urlò il più anziano.
“Noi non abbiamo tempo per questo”, aggiunse.
“Sì che ne avete. Siete qui da centinaia di anni. Ci resterete per altre centinaia di anni. E se io vi donassi qualcosa per passare il tempo?”
“Qualcosa per passare il tempo?”
Improvvisamente tutti e tre gli alberi parvero interessarsi all’argomento. Daniel estrasse il suo mazzo di carte e ne tolse tre: un asso e due fanti. Senza farsi notare dagli alberi strizzò l’occhio a Greta e le sussurrò:
“Sai già cosa devi fare”.
“Spero che lo sappia tu”, sussurrò lei, perplessa.
“Sta tranquilla, andrà tutto bene”. “Almeno lo spero”, avrebbe voluto aggiungere.
“Guardate bene, adesso: l’asso vince, i fanti perdono”, disse, rivolto ai grandi alberi. E fece il gioco delle tre carte davanti a loro, che lo fissavano allibiti, ma interessati.
Greta, da brava “spalla”, indovinò alcune volte la carta vincente. Lei e Daniel lo avevano fatto spesso, per imbrogliare i passanti. Poi, non appena questi avevano puntato un po’ di soldi, credendo fosse facile indovinare, le mani di Daniel diventavano velocissime ed era praticamente impossibile riuscire a vedere dove andava a finire l’asso.
“Sei svelto, giovanotto…”, commentò il più giovane degli alberi.
“Bene. Ora tocca a voi”, annunciò Daniel.
“Tocca a noi fare cosa?”
“Semplice: se indovini, siamo tuoi prigionieri. Se non trovi l’asse, ci lasci andare”.
Gli alberi confabularono tra loro.
“Ci devi dare tre possibilità. Solo se le sbaglieremo tutte potrai andare”, accordò infine uno degli alberi.
“D’accordo”. La voce di Daniel suonava sicura, ma in realtà era preoccupatissimo.
“Cominciamo”, disse poi, iniziando a muovere le mani velocemente.
Quando si fermò, il primo albero tentò di indovinare, puntando una delle carte con la nodosa radice.
Daniel voltò la carta.
“Peccato. È un fante!”
Mischiò di nuovo le carte tanto velocemente che fu davvero impossibile seguirne i movimenti. Anche il secondo albero fallì il tentativo. I tre cominciavano a innervosirsi.
“Ora, l’ultimo tentativo. Se sbagliate anche questo dovrete lasciarci andare”, precisò Daniel, che però fece segno a Greta e Cronch di stare accanto a lui.
“Se qualcosa va storto, ce la battiamo con la sfera…”, bisbigliò.
Mischiò le carte di nuovo, poi attese l’ultimo albero. La radice dell’albero si mosse prima su una carta, poi su un’altra, infine sulla terza. Il cuore di Daniel ebbe un tuffo: era lì che si trovava l’asso. Ma all’ultimo secondo, l’albero scelse la carta centrale.
“Fante!”, esclamò Daniel, con un sospiro di sollievo. L’albero mandò un grugnito d’insoddisfazione.
“Andatevene via! Alla svelta!”, urlò l’albero più giovane, adirato.
Daniel si frugò in tasca e ne estrasse il resto del mazzo di carte:
“Ecco, tenete. Vi avevo promesso qualcosa per passare il tempo. Ci si possono fare molti giochi”.
Disse, posando il mazzo su un sasso. Infine, salì sulla slitta insieme ai suoi amici e ripartì, diretto verso la fine della foresta.
Elena Ungini
A settimana prossima per un nuovo capitolo!
Mirtilla Malcontenta
Le fiamme di Pompei
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