Bradbury, noto ai più per il libro “Fahrenheit 451”, è uno degli scrittori più famosi e letti della seconda metà del ‘900. Scomparso recentemente, ha donato alla letteratura perle più o meno famose che hanno rivoluzionato il modo di scrivere e fare fantascienza.
Sfruttato sia in opere letterarie sia cinematografiche, per i molti lettori che si accingono a esplorare lo spazio infinito del genere sci-fi Bradbury è un passaggio importante, quasi essenziale.
Spazio 1999, dopo una prima spedizione fallimentare, un secondo razzo atterra su Marte.
Mentre il portellone si apre e il capitano Williams e i suoi uomini mettono piede sul pianeta inesplorato carichi di aspettative, i marziani pur coscienti dell’arrivo del razzo continuano la loro vita senza troppe cerimonie, come se la presenza dell’uomo sia cosa di poco conto.
Inizia così un lungo camino alla ricerca di qualcuno che sia anche lontanamente interessato alla loro storia.
“Vorremmo un po’ di attenzione.
Veniamo dalla Terra, a bordo di un razzo, siamo in quattro, tre uomini d’equipaggio e il comandante, siamo sfiniti, affamati, gradiremmo un posticino dove dormire.
Ci piacerebbe che qualcuno ci offrisse le chiavi della città, o facesse un altro gesto simbolico del genere, qualcuno insomma che ci stringesse la mano, gridasse “Evviva!”
o dicesse “Congratulazioni amici!”.
Ecco più o meno quello che vorremmo.”
Nonostante siano poco meno che invisibili al loro arrivo, col passare del tempo i terrestri riescono a catturare l’attenzione dei marziani. Man mano che arrivano le spedizioni, il numero di uomini su Marte aumenta e la colonizzazione prende pieghe inaspettate.
La società, le città e le persone sono la copia esatta di quello che è stato lasciato sulla Terra. L’uomo partito per lo spazio con sete di conoscenza e voglia di esplorare, riesce però a portare su Marte solo una copia del pianeta originario.
Quello che capiamo con lo scorrere dei capitoli è che non importa in quali imprese l’uomo decida di cimentarsi; il denaro, il potere e la sete di conquista non lo abbandonano e fanno si che la storia si ripeta.
Nonostante un disastro nucleare abbia reso la Terra un posto inospitale, i colonizzatori non riescono a creare una società migliore sul nuovo pianeta.
La storia segue un arco narrativo che va dal 1999 al 2026 e che porta drasticamente alla fine di una civiltà antica, scalzata dalla più rude e arrivista popolazione terrestre che difficilmente impara dai propri errori, anzi li ripete più volte convinta di essere portatrice d’innovazione e di una grande verità.
La genialità e la grandezza dell’uomo che riesce ad approdare in un nuovo mondo si spegne quando gli si prospetta la possibilità di dominare un’altra popolazione.
E proprio quando verso la fine del libro l’uomo ha ricreato lo stesso scenario del mondo che ha abbandonato, le entità marziane che una volta popolavano il pianeta, e che ora sono poco più che un ricordo lontano tornano a fare visita ai terrestri nuovamente distrutti per ricordare loro quello potevano essere.
In un finale dolceamaro Bradbury ci lascia con l’idea di quello che poteva essere e di ciò che non è stato, con la distruzione della Terra e di un nuovo pianeta inizialmente florido, con l’annientamento di una popolazione spirituale e antica ma soprattutto con una domanda che ci spaventa e ci sfida.
Saremo mai capaci di cambiare?
Se è vero che la storia serve a non ripetere gli errori commessi, quante probabilità ci sono che scoprendo un nuovo mondo, l’uomo non finisca per tornare a prendere le stesse fatali scelte che hanno distrutto il suo pianeta?
E ancora, saremo mai capaci di evolverci davvero? Siamo in grado di imparare dal passato e ricominciare una nuova vita basandola su un modello più equilibrato e meno grandioso?
Siamo davvero pronti per confrontarci con altre razze?
Con cronache marziane l’autore non ci regala solo un’opera di qualità nel suo genere, ma anche un monito, un avvertimento per l’uomo che tanto desidera conquistare, espandersi e colonizzare.
“C’era una bianca cittadina silente sulla riva dell’estinto mare marziano. Era deserta. Nessuno vi si muoveva. Luci solitarie ardevano nelle botteghe per tutto il giorno. Le porte dei negozi erano aperte, come se la gente fosse improvvisamente partita, dimenticandosi di usare le chiavi. Riviste, portate dalla Terra sul razzo argenteo un mese prima, palpitavano al soffio del vento, intatte, già ingiallite, sulle reticelle metalliche degli empori. La città era morta. I suoi letti erano vuoti e freddi.”
Nessuna risposta.